I non fungible token (Nft) sono beni digitali rappresentativi di altrettanti beni digitali o fisici il cui “aggancio” alla blockchain garantisce l’unicità, scambiati su marketplace dietro pagamento con criptovalute (o valuta corrente). Il fenomeno, diffusissimo, sta rapidamente penetrando in settori tradizionali come l’arte, la musica e la moda, oltre a rappresentare lo strumento con cui circolano e circoleranno beni e servizi nel metaverso. Gli scambi di Nft sono generalmente assoggettati a Iva e innescano flussi reddituali, quali corrispettivi e royalty, da tassare. Il trattamento fiscale, in particolare, dipende nella maggior parte dei casi dalla struttura della “supply chain” relativa agli specifici Nft, dalla rilevanza o meno della tipologia di beni sottostanti e dalla natura del soggetto che crea o commercializza l’Nft. Per i marketplace – la cui definizione oggi non è univoca per tutti i comparti impositivi a livello Ue (si veda il documento del Group on the future of Vat del 26 gennaio 2022) – a questi temi si aggiungono quelli più generali che ruotano attorno ai nuovi attori dell’economia digitale (tra cui ad esempio l’applicazione ai marketplace dell’imposta sui servizi digitali). Le imposte indirette La fiscalità degli Nft ha pochi contatti con la fiscalità delle criptovalute, salva qualche assonanza nel caso in cui gli Nft siano detenuti come investimento finanziario. Se il soggetto che scambia Nft è una persona fisica o giuridica che esercita attività d’impresa o lavoro autonomo, sarà fondamentale individuare le regole di territorialità. Il pensiero corre all’articolo 25, lettera a), della direttiva 2006/112 in materia di Iva, che assimila la cessione di beni immateriali, quali appunto gli Nft, a prestazioni di servizi indipendentemente dalla natura del bene scambiato. Inoltre, data la natura “digitale” dell’Nft, questa “prestazione di servizi” ai fini Iva sembra rientrare nel novero dei «servizi prestati tramite mezzi elettronici», dal momento che l’articolo 7, paragrafo 2, lettera a), del regolamento Ue 282/2011 qualifica come tali «la fornitura di prodotti digitali in generale, compresi software, loro modifiche e aggiornamenti». Insomma, gli scambi di Nft costituirebbero una specie del più vasto genere di “e-commerce diretto”. Tale ricostruzione, se confermata, aiuterebbe a definire il regime Iva applicabile (soprattutto sotto il profilo territoriale, abitualmente individuato nel Paese del soggetto acquirente) alle diverse operazioni effettuate da chi interviene nella catena di creazione, trasferimento e sfruttamento degli Nft. Le imposte dirette Sul fronte delle imposte dirette, i proventi originati dalla cessione di Nft da parte di soggetti residenti in Italia, persone fisiche o giuridiche attive nel relativo mercato, possono dar luogo a redditi d’impresa o di lavoro autonomo. Guardando al creatore dell’Nft, riteniamo che il componente di reddito ricevuto possa nella maggior parte dei casi avere natura di corrispettivo o di royalty, seguendo essenzialmente le regole del bene che l’Nft rappresenta. Nelle operazioni transnazionali, peraltro, le royalty potrebbero essere soggette a ritenute alla fonte, e andrà quindi verificata l’applicabilità della più favorevole aliquota convenzionale tra l’Italia e la giurisdizione in cui ha sede il marketplace su cui l’Nft è creato e alienato
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